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giovedì 29 marzo 2018

SUOR ANGELICA IN SAN FRANCESCO


          Suor Angelica è un dramma in un atto di Gioacchino Forzano, musica di Giacomo Puccini. L’opera che con Gianni Schicchi e Il Tabarro fa parte d’un trittico, è stata rappresentata  la sera di Giovedì 22 Marzo 2018 all’interno del complesso monumentale di San Francesco di Cuneo a cura dell’Associazione  Incontri d’Autore diretta dalla prof. Vera Anfossi.
              Suor Angelica non raggiunge la perfezione dello Schicchi: le nuocciono la frammentarietà di alcuni episodi della prima parte e la monocromia vocale, causata all’assenza di voci maschili (salvo poche battute del coro finale): ma la poetica delicatezza dell’atmosfera claustrale, con cui essa inizia, la bella frase di suor Angelica “i desideri sono i fiori dei vivi” (un mi bemolle magiore pieno di freschezza), l’aria dell’agnellino, cantata da suor Genoveffa, l’arrivo della berlina della zia principessa, l’aria cupa e severa cantata dalla stessa zia, e sopratutta l’aria  che suor Angelica intona per la morte del figlioletto, sono tutte pagine sincere e fervide d’ispirazione, nelle quali Puccini ha trasferito accenti umani e commoventi.  Purtroppo nell’esecuzione dell’Orchestra Filarmonica del Piemonte diretta dal M° Paul- Emmanuel Thomas e sulla base sonora dalla stessa nel canto delle  cantanti (sole donne)  e del coro del Liceo Musicale Ego Bianchi, tutte queste "angeliche" cose, richiedenti poesia e raffinata tecnica interpretativa, io,  nell’esecuzione  in  S. Francesco,  non le ho sentite e non mi sono commosso.    E non è stato sufficiente a farmi apprezzare l’esecuzione  lo  sempre straordinario effetto sia visivo che sonoro di questo monumentale ambiente ex chiesa ( che peraltro avevo lodato in occasione dell’esecuzione della Tosca, sempre con la stessa organizzazione) anche se in questo caso, il soggetto dell’opera, ha reso facile la regia, le luci e le scene.  Io la penso così, ma il numeroso pubblico cuneese  ha applaudito e così tutti contenti,  anche per il  benevolo sguardo della vicina Francia.
        In me permane l’antico e perdurante dubbio sull’opportunità di mettere in scena (si fa per dire) l’opera lirica, in provincia. Ma ne parleremo !                          Antonio Sartoris 

            FISCHIO NEGATIVAMENTE 5 (cinque)  VOLTE. 

mercoledì 21 marzo 2018

"CASA DI BAMBOLA" di H. Ibsen al TEATRO TOSELLI


 Ottima la scelta dell’Assessorato alla cultura del nostro Comune che nella stagione  2017/2018 del Teatro Toselli di Cuneo, dopo “Puntila ed il suo servo Matti” di Brecht  ci ha proposto un  altro classico : “ Casa di Bambola” dello scrittore norvegese Henrik Ibsen.  Questo dramma recitato in due atti, scritto nel 1879, ancora oggi viene considerato una bandiera nella storia dell’emancipazione femminile. Nora, la protagonista, insoddisfatta del rapporto con suo marito, che non sente paritario, abbandona la casa, marito e bambini,  per raggiungere la propria indipendenza e felicità. Un’opera che fece scandalo e sconvolse il pubblico del tempo, borghese e un po’ bacchettone,  ed è tuttora portatrice di valori profondi quali la coerenza e verità nei confronti di se stessi.
Ibsen in questo celebre lavoro ed in altri (Brand,Spettri, Hedda Gabler) “” mette in atto un processo di creazione che caratterizzerà l’intera sua opera: individuato un problema morale – o un nodo di problemi morali – da sottoporre a riflessione e a discussione, dà vita ad una serie di personaggi che,  senza imporre in modo predicatorio o propagandistico alcuna tesi, dispiegano di fronte al pubblico la complessità delle implicazioni di tali problemi e le conseguenze di risposte divergenti, dislocando le diverse possibilità anche all’interno di drammi diversi e rendendo così possibile una lettura intertestuale da parte dello spettatore, se non obbligatoria (perchè lascia al lettore/spettatore il lavoro di interpretazione) certo assai proficua””: così osserva Fulvio Ferrari presentando H.Ibsen  nella serie IL TEATRO (ed. Il Giornale):
La rappresentazione al Toselli di sabato 17 marzo 2018 è stata  realizzata dalla Associazione Teatrale Pistoiese . Il regista ed adattatore Roberto Valerio   ha reso il dramma di Ibsen  di una  “piacevolezza” forse non del tutta propria al tema di cui si è detto, fino a sopprimerne il tragico finale  con l’abbandono da parte di Nora di marito e due figli.  Vi è stata una bella scenata di Nora  (in cui fra l’altro lei  si strappa la parrucca come a rivelare la sua anima ferita e ribelle)  ma  alla fine la “bambola”  lascia cadere a terra  la valigia,  si toglie il cappotto che aveva indossato per andare definitivamente via dal marito e dai figli.  Così lo spettatore ben pensante, capisce  che Nora  rinuncia alla sua ribellione e riprende  il suo ruolo di madre e di moglie sottomessa.    E’ vero che fu lo stesso Ibsen che modificò questo finale in un lieto fine,  ma lo fece perchè  ciò gli fu imposto dal pubblico  dell’epoca profondamente turbato, quando non indignato dall’originario, tragico finale, ma coerente con tutto il procedere della storia. Alcune attrici si rifiutarono di pronunciare il monologo conclusivo, perchè non lo consideravano moralmente accettabile. In Italia, invece, fu la mitica Eleonora Duse tra le prime ad affrontare questo complesso personaggio, che portò in scena nel 1891, e contribuì a far conoscere Ibsen nel nostro pese.
A questa atmosfera del matrimonio falsamente felice  di Nora e di Torvald hanno dato  vita, nei rispettivi ruoli , Valentina Sperli e lo stesso regista Roberto Valerio.  Vedendo quest’ultimo eccitato e possessivo si capisce anche lo spirito della sua regia.  Invece la Sperli nel ruolo di protagonista, per contrasto,  ha mantenuto i toni sommessi e sottomessi che la parte richiedeva  creando con piccoli tocchi premonitori (i cioccolatini, le parolacce, un innocente simpatia per l’amico di casa)   le premesse dell’esplodere della sua repressa personalità causato da un errore  comportamentale, che noi diremmo  banale, ma che non lo era per la società dei tempi di Ibsen . I due protagonisti hanno avuto la collaborazione di Michele Nani, Massimo Grigò e Carlotta Viscovo, per cui questo quadro di vita ottocentesca, ma non poi tanto diversa dalla nostra,  è stato gradito dal pubblico, che ha applaudito con ripetute chiamate in scena degli attori visivamente compiaciuti di vedere il nostro Toselli illuminato e plaudente.   A.S.

FISCHIO POSITIVAMENTE  8 (otto) VOLTE         
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sabato 10 marzo 2018

"IL FLAUTO MAGICO" CON ELIO E COMPAGNI AL TEATRO TOSELLI


      Mi aspettavo di più. Innanzi tutto dall’esecuzione musicale di un dichiarato “Ensemble Berlin", musicisti dei "Berliner Philarmoniker” dove - visto dal vivo -  non ho riconosciuto la fisionomia di alcun membro della celebre orchestra tedesca che conosco bene per averla personalmente ascoltata a Berlino, Salisburgo, Torino e quest’estate a Baden Baden. Gli archi (violino, viola e violoncello) potrebbero essere stati nascosti tra i molti dell’orchestra ma l’oboista (peraltro bravo) in quella celeberrima orchestra non l’ho mai visto. 
Hanno eseguito correttamente, direi scolasticamente,  un quartetto di Mozart e con  la soprano Elin Rombo in un annunciato “Exultate jubilate” che non ho  riconosciuto, come brano corale famosissimo.  
      Poi Stefano Belisari in arte Elio, poliedrico attore, cantante e suonatore di flauto ha raccontato la nota favola de "Il flauto magico"  un Singspiel (un'opera lirica  in lingua tedesca, con testi recitati alternati ad altri cantati) in due atti musicato da Wolfgang Amadeus Mozart, su libretto di Emanuel Schikaneder. Elio ha scoperto il fascino del racconto di storie operistiche perché “la storia l’è bela, fa piasì cuntela”  (la storia è bella e fa piacere raccontarla) e ne ha fatto oggetto di una serie di dvd  dal titolo “L’OPERA ITALIANA, trame, passioni e personaggi della lirica, raccontati da Elio” e di spettacoli, come quello che ha presentato a Cuneo.  È una operazione di invito all’opera che si cerca di fare anche con l’opera in provincia, su cui mi intratterrò un’altra volta.  La differenza che mi ha molto deluso (e che ha troppo poco di invitante) sta nel fatto che, contrariamente a quanto ha fatto in modo  teatralmente corretto nei suoi Dvd (con interviste di critici e musicisti, con brani tratti da spettacolo ripresi dal vivo), sul palco del Toselli c’era solo un Elio narrante ed i quattro suonatori con la cantante: non uno spettacolo ma un audiolibro. Niente immagini (facilmente riproducibili su video in grande schermo), niente commenti anche solo da parte sua. Ne è  risultato uno spettacolo breve e noiosetto, che - mi pare e giustamente - non ha entusiasmato il pubblico cuneese che, educato come sempre,  ha battuto le mani: tiepidamente.  A.S.

  FISCHIO POSITIVAMENTE e per cortesia 5 (cinque)  VOLTE




lunedì 5 marzo 2018

IL SIG. PUNTILA E IL SUO SERVO MATTI di Bertold BRECHT al TEATRO TOSELLI DI CUNEO


       Non so se e quando un’opera teatrale di B. Brecht sia mai stata rappresentata a Cuneo. Sta di fatto che la rappresentazione del suo famoso testo  “il Signor Pùntila e il suo servo Matti”  da parte del Teatro dell’Elfo di Milano la sera di giovedì 22 Febb. 2018 nel corso della stagione teatrale 2017/18 del Teatro Toselli di Cuneo, sia stato lo spettacolo migliore finora visto da me . In tutti i sensi : contenuto del testo, regia e recitazione.
       Facciamo un po’ di storia .  Bertolt  Brecht  è nato ad Augusta il 1° Febb. 1898 (il Toselli, magari inconsciamente  ha fatto bene a ricordare il centoventesimo anno dalla sua nascita)  e morì a Monaco di Baviera il 14 Agosto 1956.   La sua enorme produzione letteraria (teatro, poesia, racconti, aforismi) esprime una grande capacità compositiva e poetica e abilità nel narrare storie estremamente vitali per leggere il nostro presente . La vita lo portò a confrontarsi nel modo più aspro, vivendo gli anni dell’ascesa del nazismo ed essendo infine costretto ad emigrare, prima in altri paesi d’Europa e poi negli Stati Uniti, come molti intellettuali tedeschi della sue generazione.
       Venendo al suo teatro, Antonio Audino nella Storia del Teatro moderno e contemporaneo dice :  è facile notare in esso  una sua visione del tutta autonoma ed originale ed insieme  un pensiero ancor oggi vitalissimo. In estrema sintesi è un pensiero politico,  che, come in lui in tanti spiriti di alta idealità, consiste in una infinita fiducia nell’uomo e nelle sue qualità, una convinta adesione alle istanze più profonde dell’anima di ogni persona, travolte, mortificate e spesso cancellate dalle strutture che governano la società. Per fare ciò Brecht si rende conto che bisogna rinnegare l’idea che il teatro sia un luogo di evasione dove sentirsi raccontare storie, dove palpitare delle vicissitudini di un eroe, attraversando, grazie e lui, una catarsi liberatoria. Per Brecht, prosegue Audino, il problema di fondo è quello di non far perdere capacità critica e intelligenza allo spettatore, di non coinvolgerlo in una mimesi che lo ponga al centro di una realtà parallela, sopratutto non mettendo a tacere, in cambio di una banale emozione psicologica, la possibilità di ragionare intorno a quanto si sta osservando. Brecht ripudia l’immedesimazione dello spettatore, lo vuole sveglio, attivo, capace di elaborare nuove forme di pensiero attraverso lo spettacolo, magari anche di opporsi e di entrare in contraddizione con il fatto artistico.  Non teatro di diletto e di evasione ma teatro di rapporto con la polis, la società, da cui teatro epico, ma  che insieme si allontana in modo drastico e definito dall’idea che la scena possa in qualche modo assomigliare alla vita.   Vale la pena di riprendere qualche citazione da B.B. “Teatro di divertimento o teatro di insegnamento” in  Scritti teatrali, Einaudi ,Torino, 1962 per la migliore comprensione di cosa si intende per “teatro epico”. “Nessun aspetto della rappresentazione – scrive Brecht – doveva   non più consentire allo spettatore di abbandonarsi, attraverso la semplice immedesimazione, ad emozioni incontrollate (e praticamente inconcludenti). La recita sottoponeva dati e vicende ad un processo di straniamento, quello straniamento che è appunto necessario perchè si capisca (...) . Lo spettatore del teatro drammatico dice: - sì, anche io ho provato questo sentimento. – sì anche io sono così – bè questo è naturale – sarà  sempre così, la sofferenza di quest’uomo mi commuove, perchè non ha altra via d’uscita – Questa è grande arte: qui tutto è ovvio, è evidente. – Io piango con quello che piange, rido con quello che ride.  --- Lo spettatore del teatro epico dice: A questo non ci avrei mai pensato – Questo non si deve fare così. – E’ sorprendente, quasi inconcepibile. – Non può andare avanti così – La sofferenza di quest’uomo mi commuove, perchè avrebbe pure una via d’uscita ! – Questa è grande arte: qui non c’è nulla di ovvio, - Io rido di quello che piange, piango di quello che ride.””
       Dunque il teatro epico è un teatro che risveglia il pensiero - conclude Antonio Audino (come sopra), che crea una contrapposizione tra lo spettatore e quello che gli accade davanti, che vuole portare il pubblico ad un atteggiamento critico rispetto alle vicende narrate ed ai personaggi, giacchè questi sono comunque delle metafore di condizioni sociali precise, e l’obiettivo finale resta quello di riflettere sulla società in cui si vive. Per questo il teatro epico viene definito dialettico e didattico.

       Venendo all’opera brechtiana rappresentata al Teatro Toselli , “Il signor Pùntila ed suo servo Matti”, ricordiamo che ebbe la sua prima  il 19 Nov. 1949 alla presenza del governo della Repubblica Democratica tedesca (regime comunista).  La trama la ricavo dal puntuale programma di sala: “”Il ricco possidente Sig. Pùntila da sobrio è un tiranno che vessa e sfrutta i suoi dipendenti e vuol dare sua figlia in moglie ad un  diplomatico inetto ed a caccia di dote, mentre, quando è ubriaco diventa amico di tutti e vuol far sposare la giovane al suo autista Matti, che tratta su un piano di parità.  Sfortunatamente le sbronze passano sempre ! E spetta proprio al tagliente Matti il compito di smontare le false promesse del padrone”.  Intorno ai due protagonisti una varia umanità vive una serie di situazioni ora  tristi ora allegre,  ottimamente realizzate dalla compagnia del Teatro dell’Elfo di Milano. Un bravissimo Ferdinando Bruni, traduttore di Brecht, regista e sopratutto primo attore sempre in scena ha bene evidenziato la doppia natura del sig. Pùntila l’aspetto umano, fanciullesco, direi, e la sua vera identità canagliesca da padrone.  Quanto fa pensare Brecht ancora in questi tempi di indecente disuguaglianza sociale ! Con l’efficace, affiatata, collaudata collaborazione  di Luciano Scarpa, Ida Marinali, Corinna Agustoni, Elena Russo Arman, Luca Toracca, Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo De Mojana, Francesca Turrini, Francesca Baldi, Carolina Cametti, .    
   Tutti insieme questi bravissimi attori hanno realizzato una spettacolo pieno di motivi di pensiero ma insieme scorrevole e piacevole da vedersi (nello stile della famosa rappresentazione dell'"Opera da Tre soldi" nella regia di G. Strehler)  ed in ciò coadiuvati da musiche originali di Paul Dessau (collaboratore di Brecht come Kurt Weil) e scene di Francesco Frongia.  Molte chiamate, molti applausi ed anche qualche meritato fischio di entusiasmo.   A.S.
                     VOTO 10 (dieci)  FISCHI DI APPROVAZIONE